28/08/2015 - Chi può esercitare l’Optometria: il dibattito si accende


L’articolo pubblicato il 6 agosto sull’esercizio della professione optometrica in Italia ha suscitato molto interesse e qualche dibattito (leggi qui l'articolo del 06/08/2015).

Di seguito Alessandro Fossetti risponde ad una lettera di Paolo Carelli su temi fondamentali per il futuro della nostra professione.


Buongiorno Paolo, cercherò di rispondere punto per punto, oltre che alla tua domanda, alle innumerevoli questioni che hai sollevato nella tua mail; riporto dunque il tuo testo, facendo seguire le mie risposte alle tue considerazioni. Per facilitare la distinzione dei due periodare, il tuo testo sarà in rosso.


Grazie, veramente interessante, esaustiva ed utile. Ti chiedo alcune cortesie e chiarimenti:

a) Non mi è chiara questa parte (copio incollo): “Possiamo a mio parere sostenere che l’attività optometrica possa essere svolta da ottici che abbiano competenze optometriche, ovvero possano dimostrare di aver conseguito una specializzazione in Optometria. Di sicuro non può svolgerla l’ottico, e nemmeno potrà svolgerla il laureato in Ottica e Optometria a meno che non abbia anche l’abilitazione all’esercizio dell’attività di ottico.” Scusa, non mi è chiaro, perché scritto così sembra che senza il diploma di ottica il laureato in optometria non può svolgere l'attività optometrica.

E’ esattamente quanto intendo sostenere, ovviamente senza avere la pretesa di aver ragione. Cerco di chiarire il mio pensiero. Oggi l’attività optometrica viene svolta essenzialmente nei centri ottici ed io a quelli intendo riferirmi. In realtà un laureato OO potrebbe aprire un centro optometrico senza la licenza commerciale e fare esclusivamente attività optometrica, rilasciando prescrizioni o facendo attività di Visual Training ad esempio. In caso di denuncia da parte medica è molto probabile che sarebbe assolto con formula piena, io ne sono abbastanza convinto, ma non abbiamo fino ad oggi nessun caso del genere: tutti i processati avevano l’abilitazione di ottico, sarebbe dunque la prima volta e, senza alcun supporto giurisprudenziale, il risultato è molto più legato all’ingegno del giudice. Comunque, una situazione del genere è rara in Italia, quindi pensiamo a quella più comune: il laureato OO che lavora in negozio. Certo, può esercitare la professione optometrica senza l’abilitazione: se sta in studio e non si occupa di altro, perché appena esce e va in laboratorio o nella zona vendita diventa un commesso, se non ha l’abilitazione. E in ogni caso potrà fare il suo lavoro di optometrista nel centro ottico solo grazie al fatto che c’è qualcun altro che ha l’abilitazione, e che alla fine si prende la responsabilità per il suo lavoro. Ecco perché sostengo che il laureato OO debba avere anche l’abilitazione per praticare l’optometria. C’è poi chi considera la fornitura dell’ausilio correttivo un passo imprescindibile dell’atto optometrico e che attualmente, in Italia, la professione di optometrista non possa essere disgiunta da quella di ottico.


b) Per favore ricordare anche la possibilità di prescrivere prismi (sentenza Sarti, da leggere sia la prima stesura che successiva correzione).

Assolutamente d’accordo, con buona pace degli ortottisti assistenti di oftalmologia; nella mia risposta non ho fatto un elenco di tutte le cose che può fare un optometrista secondo la Cassazione: non era il tema conduttore.


c) Non vorrei sbagliare ma ci sono state, storicamente, alcune assoluzioni anche per Ottici (senza diploma o laurea in opto) che avevano "misurato" astigmatismo ed ipermetropia.

E’ molto probabile che tu abbia ragione, ma i procedimenti non sono finiti alla Corte Suprema di Cassazione. E’ questo aspetto che fa la differenza rispetto alle molte cause intentate prima di quella Schirone, e magari anche vinte dagli ottici, o più spesso finite in patteggiamento per non aver ulteriori problemi, spese, ecc., con la convinzione che gli oculisti fossero comunque più forti dal punto di vista legale e dei rapporti istituzionali. Schirone ha avuto il grande merito, e bisognerebbe riconoscerglielo, di non accettare patteggiamenti (che pure gli erano stati offerti) ma di voler invece andare fino in fondo per vedere riconosciuto il suo diritto di esercitare quella professione per la quale aveva studiato a lungo, facendo molti corsi e spendendo tanti soldi, ovvero investendo sulla sua persona. La sua fermezza è stata premiata ed ha aperto la via alle sentenze successive. E il grande vantaggio di quella sentenza e delle altre, che non è stato compreso appieno dai rappresentanti di categoria di allora, che hanno letteralmente buttato via quasi venti anni che potevano essere spesi per riorganizzare il percorso verso l’optometria, è che la Corte Suprema di Cassazione è un vero e proprio organo giurisprudenziale, tanto più in assenza di legislazione ordinaria.


d) Mi interessa la tua idea sulla utilità di rispettare la legge 4/2013 sulle professioni non organizzate che consentirebbe, in attesa di un riconoscimento come professione sanitaria (quando riconosciuta opto come sanitaria sarà esclusa dalla applicabilità della legge), di definirsi legalmente Optometristi. Piaccia o meno alla classe medica, aggiungere al proprio nome questa qualifica è comunque reputabile obbligatorio (e potrebbe spingere il Minisal a normare) la non osservanza è, allo stato attuale, sanzionabile.

Sono assolutamente a favore dell’utilizzo delle opportunità date da quella legge, come peraltro ho già avuto modo di scrivere. So che la CNA sta portando a termine un suo percorso su questo tema e sono convinto che faccia assolutamente bene ad andare avanti. Spero soltanto che riesca a fare un buon lavoro laddove si dovranno stabilire le caratteristiche di coloro che avranno il diritto di essere ammessi ad un Registro e di fregiarsi del titolo di Optometrista. Spero che non si facciano sconti a nessuno, e che i prerequisiti prevedano una formazione adeguata e la dimostrazione di conoscenze, competenze e abilità che siano davvero qualificanti dal punto di vista della professione che si andrà ad esercitare.


e) Sarebbe bene far sapere che anche sull'uso degli strumenti, tipo fessura-topografo-schiascopo si sono avute assoluzioni, anche recenti (pur se mai arrivate in Cassazione). Fra l'altro il loro possesso è obbligatorio in alcune regioni, es. Campania, per poter essere iscritti in elenco fornitori in base a "nomenclatore tariffario" di occhiali, anche per minori ambliopi, lenti a contatto ed ausili ipo. NB gli iscritti al Minisal possono fornire in tutte le regioni, non solo nella loro, quindi se alcune regioni obbligano ad utilizzare strumenti la possibilità di averli è per tutti.

Non credo che il possesso e l’uso di strumenti particolari sia in discussione in alcun modo, premesso che tali apparecchiature non prevedano il contatto con l’occhio o l’uso di preparati farmaceutici, come anestetici o miorilassanti, ecc. E’ vero, in varie sentenze è stato “assolto” l’uso del tonometro a soffio, del topografo, del campimetro, della laf, ecc. Ma io credo che quello degli strumenti sia un falso problema, che ci conduce in una direzione sbagliata. Vorrei che fosse spostata l’attenzione dagli strumenti alla persona. Quando si parla di un optometrista ci si deve riferire non agli strumenti che possiede e che usa, ma alle conoscenze e alle competenze che ha acquisito nella sua carriera di studente prima e di professionista poi. In altri termini, se io possiedo quelle competenze ho il diritto di essere definito optometrista, a prescindere dagli strumenti che utilizzo. Se invece ho comprato un sacco di strumenti appariscenti, tecnologicamente avanzati, che non so utilizzare o che utilizzo senza essere capace di comprendere i risultati che mi danno, al massimo posso avere il diritto di illudermi di essere un optometrista. Quindi, quando si dovrà decidere chi possa fregiarsi del titolo di optometrista, e mi viene spontaneo il collegamento al punto precedente quando si parla della legge 4/2013, si guardi al suo percorso formativo e non agli strumenti che possiede. Naturalmente solo se si vogliono dei veri optometristi; se invece ci si vuole accontentare di illusionisti...


f) E’ importante anche ricordare a tutti che, in osservanza della norma sulle LAC, oltre alla esclusività di vendita, anche la applicazione (dice: l'ottico applicatore) e la verifica delle condizioni oculari per consentire l'applicazione sono attribuite all'ottico (solo quest'ultima attività anche all'oculista). Non si necessita di prescrizione medica ed è ben chiaro chi è l'applicatore (come sai gli ortottisti si stanno muovendo ed applicano e alcuni oculisti reputano necessaria la loro prescrizione). Attualmente non esiste il contattologo. Anche per le LAC non esistono limiti di età e diottrie (grazie per averlo ricordato ai fini dell’attività dell'ottico). Fra l'altro il nomenclatore prevede il costo della attività della applicazione e parla anche di LAC per cataratta congenita (neonati!)

Sì, anche questo è un argomento sul quale ci sarebbe tanto lavoro da fare, soprattutto in comunicazione. Quanti degli applicatori di lenti a contatto sono coscienti di poter di fatto prescrivere e adattare le lenti senza bisogno di ricetta medica? Quanti di essi avrebbero la volontà di rivendicarlo? E mi riferisco a coloro che provano le lenti, ne valutano l’efficacia funzionale e l’impatto sull’omeostasi oculare, prescrivono e poi verificano le modalità d’uso delle lenti, prescrivono e poi verificano sia i prodotti che le operazioni per la pulizia e la manutenzione delle lac, controllano periodicamente il successo dell’applicazione sia dal punto di vista visivo che da quello della salute oculare, e così via. In questo campo, a mio parere, i rappresentanti degli ottici avrebbero potuto avere ampi spazi di manovra per portare avanti una differenziazione all’interno della categoria, necessaria ad individuare quei professionisti che già operano, in misura più o meno ampia, come “specialisti in lenti a contatto”. Anche senza chiamarli necessariamente così. Riporto qui alcune righe dell’editoriale del N. 9 di Optometria, la rivista periodica dell’IRSOO, nel quale parlavo del tema della sicurezza nell’applicazione delle lenti a contatto e nella gestione del paziente. Il tema riguarda, scrivevo, “tutti coloro che applicano lenti a contatto, ed ha a che vedere con la responsabilità che un ottico o un optometrista si prende quando “sceglie” di applicare una specifica lente a contatto ad uno specifico soggetto. Questo tema della responsabilità è quasi sconosciuto nel nostro settore, molti colleghi non ne vogliono parlare, ma dovremo pur affrontarlo se vogliamo crescere, se vogliamo imporci come i professionisti di riferimento delle lenti a contatto. Cominciando finalmente a distinguere tra chi produce prestazioni professionali, applicando le lenti a contatto, controllando l’applicazione con il supporto di strumentazione adeguata, verificando l’adattamento, prendendosi la responsabilità del proprio operato in caso di problemi, e chi vende le lenti che sono state provate, valutate e prescritte da altri, e non intende prendersi nessuna responsabilità. Tenendo bene a mente che questa eventuale seconda scelta è assolutamente legittima e non meno dignitosa della prima. Si tratta peraltro di una distinzione già in essere, basta soltanto volerla rendere palese e se possibile, in qualche modo, ‘istituzionalizzarla’”. L’iniziativa presa da Assottica per arrivare a stabilire chi prescrive le lenti a contatto, pur con la imbarazzante limitazione di aver cancellato il termine prescrizione per sostituirlo con un termine inglese, “specification”, che ha il solo scopo di non dire le cose come stanno, in una perfetta soluzione all’italiana, sembra persa nel nulla. Nessuno più ne parla. Anche in questo percorso, che avrebbe potuto portare alla differenziazione tra ottici che operano già oggi in modo differente sul campo, i rappresentanti degli ottici sono rimasti passivi, lasciando la conduzione dei giochi ai rappresentanti delle grandi aziende del settore della contattologia. C’è solo da sperare che il silenzio tombale sull’argomento preluda ad un’uscita a sorpresa nel corso del prossimo congresso Assottica che si terrà a Roma il 29 e 30 novembre prossimo.


g) Le attività professionali di refrazione, adattamento al viso, applicazione lac e montaggio sono obbligatoriamente da far pagare (salvo prestazione gratuita e società) e l'ottico ha doppia imposizione-contabilità fiscale.

In linea di principio concordo con te, ma distinguerei tra le attività di montaggio e di adattamento al viso dell’occhiale e quella di misura della refrazione e applicazione lac. Nel primo caso si tratta di operazioni che sono inalienabili dalla stessa consegna del mezzo correttivo, direi anzi che ne fanno parte; mentre le seconde ne possono essere assolutamente separate. Mi spiego: io non posso vendere ad un cliente un occhiale correttivo senza aver montato le lenti e senza adattarlo al viso nella posizione che ne determina la corretta funzionalità. Dunque, queste operazioni possono ben entrare a far parte del prezzo del prodotto finito. Dovremmo altrimenti far pagare anche l’adattamento al viso di un occhiale da sole? Diverso è il caso della misura della refrazione e dell’adattamento delle lac, che possono esistere senza la vendita, e che dunque devono essere fatte pagare come attività professionale. Oltre alla doppia contabilità fiscale un’altra possibilità è quella di prendere una partita IVA come optometrista e fatturare le prestazioni professionali, sia per la refrazione che per l’adattamento lac.


h) La prescrizione del medico (NB anche il medico non specializzato in oculistica può prescrive occhiali) non è obbligatoria né per gli occhiali, né per le lac, né per gli ausili per Ipo (salvo l'obbligatorietà solo ai fini della procedura burocratica per l'autorizzazione ad ottenerli con spesa a carico del SSN).

Completamente d’accordo, come già sostenuto in precedenza. Ma il problema è: quanti ottici e quanti optometristi lo sanno? E soprattutto, cosa si fa per farlo sapere? Nessuna associazione di categoria ha mai affermato in continuazione, con forza e intransigenza l’indipendenza dalla prescrizione medica, favorendo così anche la diffusione tra gli ottici di un senso di inferiorità e soggezione verso gli oculisti. Credo che gli ottici che hanno una laurea o un diploma di optometria e che praticano abitualmente la professione siano mediamente confusi, preoccupati e dubitanti sulle loro possibilità operative, ovvero sui loro diritti. Perché le associazioni di categoria non hanno mai fatto una energica opera di divulgazione, tra gli operatori del settore ottico e optometrico, su questi diritti, riconosciuti da leggi e sentenze? La mancanza di questa azione ha impedito la costruzione di una vera e diffusa coscienza optometrica e ha portato a una forte carenza di “autostima operazionale”. Formazione qualificata prima di tutto, ma anche consapevolezza delle proprie competenze, abilità e prerogative professionali, sono gli elementi attraverso i quali occorre passare necessariamente per arrivare al riconoscimento della figura dell’optometrista. Torno a citare un editoriale di Optometria, questa volta il N. 10, nel quale commentavo un passo della lettera ai soci del nuovo direttivo Sopti, dicendo: “Di questa lettera mi piace sottolineare questo passo: ‘Noi tutti sentiamo la responsabilità del ruolo sociale dell’Optometria attraverso la pratica che svolgiamo ogni giorno’. In questa frase due termini sui quali mi sono soffermato più volte negli editoriali dei numeri precedenti, che non mi stancherò mai di rimarcare e che caratterizzano due poli di una triade che ritengo fondamentale per il riconoscimento della nostra professione. Il primo, responsabilità, rappresenta la porta stretta dalla quale è indispensabile passare per ottenere l’Optometria; il secondo, ruolo sociale dell’Optometria, rappresenta la dignità professionale e sociale dell’optometrista ed è ciò che dobbiamo rivendicare per la nostra professione, un ruolo che molti di noi già svolgono con la loro attività, giornalmente e senza troppi clamori, sconosciuti al legislatore ma apprezzati dai cittadini e dai molti oculisti con i quali collaborano in comunione di intenti: il bene del paziente. Il terzo polo della triade è la formazione, fatta ad un livello che garantisca le conoscenze, le competenze e le abilità necessarie a svolgere proprio quel ruolo sociale”.


i) Gli ortottisti non possono prescrivere occhiali, la firma deve essere comunque del medico. Se vedi sul loro sito europeo è ben scritto cosa possono fare in Italia.

D’accordo anche qui con ciò che dici. I rappresentanti degli ortottisti si sono dimostrati, a differenza dei nostri, tanto chiusi e irremovibili sulla difesa a spada tratta dei loro presunti diritti, quanto abili e scaltri nel presentare e manovrare comunicati, dossier e documentazioni. Forse varrebbe la pena ricordare loro che con la trasformazione del corso tradizionale per ortottista in corso di laurea, l’appellativo della figura professionale è divenuto “Ortottista assistente di oftalmologia”, che dice tutto sulla loro libertà d’azione e autonomia lavorativa. Forse avevano maggiore indipendenza quando non c’era la laurea triennale; inoltre le competenze e le abilità che vengono oggi costruite nel corso di laurea sono indirizzate alle funzioni di assistente di oftalmologia più che a ortottista. Ed è ovvio, visto che ad insegnare le materie professionali ci sono solo oculisti. Chi insegna più l’ortottica se non ci sono ortottisti che insegnano? E’ esattamente quello che succederebbe se oggi accettassimo di fare un corso di optometria a medicina per avere il riconoscimento di figura sanitaria. Senza un numero sufficiente di optometristi con dottorato di ricerca l’optometria sarebbe insegnata dagli oculisti, con gli stessi risultati di quelli che si sono avuti per l’ortottica.


Nel ringraziarti per la paziente lettura, per ora mi fermo.
Saluti,
Paolo


E mi fermo anch’io, mi pare di aver abusato anche troppo del tempo di chi legge.

Saluti e buona optometria a tutti,
Alessandro Fossetti


Condividi: